PALLA AL PIEDE


Cuoio.
Gomma.
Gomma piuma.
Carta ricoperta con lo scotch.
Non importava quale fosse il materiale.
L'importante era che avesse una forma sferica ed accettasse di essere preso a calci.
In verità non poche erano le deroghe nei confronti di lattine e bottigliette di plastica, ma si trattava solo di rapporti occasionali.
Non ero io a scegliere la lattina, era una variante orizzontale della forza di gravità a renderne inevitabile l'incontro con il piede.
Nuovo di zecca o sgonfio, ma pur sempre esperto di volo, un gioco da fargli fare si trovava sempre.
Che avesse l'animo eolico del SUPER TELE, l'eroica spiritualità del SUPER SANTOS o fosse, almeno per noi mocciosi, leggermente in sovrappeso come il TANGO, non sarebbe mai rimasto a lungo sotto la marmitta di una 127.
Non c'era al mondo pallone sufficientemente scadente da impedirmi di essere contemporaneamente telecronista, commentatore, raccattapalle, portiere, difensore, centrocampista, attaccante, autore dell'assist e autore del goal.
Tutto in uno, sulle spalle di un eroe grassottello.
Un microcosmo di onnipotenza.
Così come non esistevano scenografie abbastanza scadenti da impedirmi di vivere il sogno di realizzare un goal decisivo, lontano dagli occhi assenti degli adulti.
Ogni goccia di sudore era un'acclamazione.
Ogni ginocchio sbucciato era un trofeo.
Ogni volta che mia madre mi chiamava dalla finestra, una partita sospesa.
Sempre in solitaria, palla al piede.
Talvolta anche palleggiando, ma per le mezze seghe come me era una rarità.
Nella scala evolutiva ero solo un gradino sopra coloro che devono sempre andare in porta, ma niente mi avrebbe impedito di essere il regista, il protagonista e le comparse della finale più importante della storia del calcio .
In realtà non c'era neanche un muro così ostile da non concedermi una semplice partita a battimuro con il complice di turno, una serranda sufficientemente rumorosa da impedirmi di giocare a tedesca con un paio di coetanei dell'isolato, o cartelle troppo nuove per trasformarsi in pali e dare vita ad un vero ed improprio campo di calcio.
A tutto questo si univa la scelta della squadra del cuore, per definizione non razionale, ed era pressochè automatico diventarne di volta in volta il giocatore più importante, a cui affidare parte delle mie rivendicazioni.
Segnare in una partita tra compagni di scuola era l'equivalente di vincere una partita di poker con una doppia coppia, visti anche i piedi che madre natura mi aveva concesso.
Molto è ovviamente cambiato, ma è un ricordo che ha ogni volta la forza di farsi Presente.
Nelle emozioni che mi legano a queste righe, probabilmente insignificanti per chi non ha vissuto l'immaginario che portano con sé, credo si trovi sostanzialmente la mia risposta alla domanda sul perchè, nonostante tutto, io continui a seguire il calcio.
Forse se avessi speso il mio tempo a fare lanci in un cortile del Minnesota oggi continuerei a seguire il baseball.
Quando esulto per un goal della mia squadra non affido la mia gioia ad un giocatore milionario che tenterebbe il suicidio di fronte ad una tabella del sudoku, ma rispetto il bambino con le ginocchia sbucciate che macinava chilometri e trofei sull'asfalto sottocasa.
E' quel bambino che ha segnato e non riuscirete a convincermi del contrario.
Tenerlo in vita non è da immaturi, perchè accanto a lui si sono progressivamente seduti l'adolescente nichilista, il musicista intimista, l'universitario disincantato, l'educatore curioso, il lavoratore responsabile, il disoccupato imprecante, il compagno umorale ma fedele, il cittadino rompipalle etc...
Sarà solo romanticismo, ma li frequento ancora tutti.
Con essi rivivo la loro emotività.
Le loro dosi di irrazionalità.
Una vittoria importante mi emoziona come riascoltare una canzone urlata fino alla nausea negli anni novanta.
Niente di più, ma aggiungerei anche niente di meno.
Mi hanno sempre spaventato le persone che non si concedono parentesi irrazionali, ed è indubbio che il tifo lo sia.
Gli argomenti dei detrattori sono sempre incentrati su un'analisi razionale del comportamento del tifoso.
Un must è:
- Che senso ha guardare 11 coglioni che inseguono un pallone?
Per annullare l'argomento, se non fosse di cattivo gusto, sarebbe sufficiente applicare ogni volta lo stesso criterio ad un comportamento o ad una passione dell'interlocutore, ma il fine della razionalità non è certo emozionarci.
Poi, in un paese che applica da decenni le stesse dinamiche del tifo alle scelte politiche ed economiche, mi sembra francamente superfluo estendere l'argomento ed il numero delle esemplificazioni.
Quanto ai contratti milionari dei calciatori appartengo agli inguaribili impopolari che sostengono che, volenti o nolenti, sono frutto del mercato.
Alzo invece le mani di fronte alle degenerazioni del tifo, che proprio in questi giorni hanno colpito la mia città, e alla costante perdita di credibilità legata agli interessi televisivi e alle ripetute indagini sul calcioscommesse.
Vi chiedo soltanto di ignorarmi per 90 minuti alla settimana.
E sono 90, perchè difficilmente la mia squadra parteciperà ad una competizione europea.
Il resto del tempo, quando non vago tra le nuvole, sono un agnostico razionalista.
E poi è solo un bambino.
Concedetegli una deroga.
Adesso chiudo che domani sera scendo in campo.
Se resterò fuori a guardare sarà soltanto per la ferma convinzione che prima o poi arriverà il mio turno.
Vinca il migliore, ma solo se sta dalla mia parte.

Commenti

Post più popolari