LA CONDIZIONE DELL'UOMO ED IL DESTINO DEL POETA
1.2. Il ruolo profetico del poeta
1.3. Il manifesto artistico del rinnovamento metrico
1.4. La condizione dell’uomo ed il destino del profeta
1.3. Il manifesto artistico del rinnovamento metrico
1.4. La condizione dell’uomo ed il destino del profeta
Nell’ultimo dei
tre componimenti, Al Sole, scritto «dentro
alla fossa»[326], il tentativo di
innovazione metrica raggiunge invece la sua massima espressione. Equilibrando
qualità estetiche, musicalità ed efficacia linguistica in primis, ed intensità
dei passaggi tematici, che acquistano solennità ed immediatezza nella
comparazione tra le immagini realistiche ed essenziali della natura e le
insanabili contraddizioni della condizione esistenziale del filosofo calabrese,
l’elegia ha unito la critica nel riconoscimento della sua bellezza. Al di là di
una disputa classificatoria, personalmente poco interessante, che risponde alla
domanda se questa elegia sia la migliore prova poetica di Campanella o
piuttosto una delle migliori, si può sicuramente sottolineare come qui poesia e
filosofia sembrino fondersi naturalmente, senza che il loro incontro si traduca
in un compromesso angusto, con il conseguente sacrificio delle rispettive prerogative.
E penso si possa rilevare anche come i motivi autobiografici, con espliciti
riferimenti al contigente, rimandino altrettanto naturalmente ad una visione
globale dell’universo e alla reciprocità delle sue componenti, che acquista
forza ed intensità.
Dopo aver
esordito con un rimprovero a «Giano» per averlo esaudito «al contrario», in cui
è stata vista un’allusione all’inasprimento della prigionia[327],
l’Autore si rivolge al ‘Sole’, sottolineando l’importanza attribuitagli dal suo
interlocutore, che ne aveva fatto il simbolo della sua «scola», quella del
Primo Senno, di cui si faceva, come afferma nei vv. 43-44, promotore. Oltre ad
elevarlo ad emblema della sua nuova filosofia, aveva dato il suo nome anche al
proprio modello di stato perfetto ed i richiami interni alla produzione dello
Stilese sono, come abbiamo visto, molteplici. L’importanza attribuitagli da
Campanella è, per quanto le due dimensioni siano anche qui separabili solo
formalmente, simbolica e letterale allo stesso tempo. Il Sole è infatti il
centro del calore, che con la sua azione reale sugli enti sublima ed «avviva»
ogni cosa, ma è anche l’emblema di un allontanamento dell’uomo dalla natura, e
questa sovrapposizione di significati crea sontuosità ad immagini semplici ma
allo stesso tempo dense di rimandi. Lo Stilese ‘dipinge un quadro’ sulla «festa
novella» che ritorna ad ogni primavera grazie all’azione del Sole, alla quale
invita «ogni segreta cosa, languida, morta e pigra», ma da cui è tagliato fuori
colui dal quale «più ch’altri caro ed amato» è:
“Se innanzi a tutti te, Sole
altissimo, onoro,
perché di tutti più, al buio, gelato
tremo?” [328]
Si palesa qui
per la prima volta, con pochi termini puntuali e antitetici alle immagini
precedenti, la contraddizione che è alla base della poesia e che, prendendo
nuove forme, ne scandirà il ritmo fino alla fine. Dopo il passo citato, il
Nostro torna infatti a descrivere nel dettaglio gli effetti mirabili del Sole,
e lo fa volgendo il proprio sguardo alle cose più semplici, alle forme di vita
più elementari, come i «minimi vermi» e le «smorte serpi», che grazie al suo
calore «tornano vive» e per le quali lui non può che provare, nella miseria
della sua prigionia, invidia. Ed è proprio in queste descrizioni, che il
proposito di ridare al linguaggio la capacità di aderire alla natura delle cose
e di esserne il naturale prolungamento, raggiunge i migliori risultati. Come
dice efficacemente L. Bolzoni, Campanella qui «sa far proprio il punto di vista
dei singoli esseri, sa parlare i loro diversi linguaggi, così da cantare,
attraverso una molteplicità di punti di vista, la rinascita della vita, e il
suo espandersi gioioso e inarrestabile”[329]. E lo
fa per poi riuscire nell’intento di rendere esplicita, con le particolarità
degli enti, l’essenza universale della vita stessa e del linguaggio nel loro
naturale manifestarsi. «Un filo ideale unitario lega il tutto»[330] e ad
ogni immagine un nuovo motivo prende corpo, si estende e prosegue nell’immagine
successiva, in un armonico e consequenziale susseguirsi di distici, che in
crescendo ci riporta ad un’amplificazione della contraddizione iniziale: «vivo
io, non morto, verde e non secco mi trovo, benché cadavero per te seppellito
sia». Tralasciando le molteplici corrispondenze individuate dai critici su un
piano estetico, mi limito a sottolineare come anche a livello retorico e
poetico lo Stilese mostri una conoscenza che abbraccia il presente ed il
passato, e non si ritragga neanche di fronte ai quei poeti, come Lucrezio, che
rilevanti convinzioni filosofiche potrebbero rendere distanti. Gli influssi
ermetici si rivelano, non prima che l’autore, ricordando passate dispute
fisiologiche, abbia evidenziato come proprio lui abbia sostenuto che «il Sole è
tutto senso e vita e la dà agli enti bassi»[331],
nelle immagini e nei motivi con cui Campanella descrive il suo «altissimo»
interlocutore:
“tempio
vivo sei, statua e venerabile volto,
del verace Dio, pompa e suprema face” [332]
Questi due
versi, in cui viene rimarcata con forza e con molteplici formule la stessa
basilare concezione, che fa del Sole un ben perscrutabile testimone dell’azione
divina, legittimano il ruolo di interlocutore del medesimo, rimandando per
associazione al potere unificante e vivificante del calore, che ha il suo
centro nel Sole, «volto» di Dio, principio e fine di ogni unità. Ma questo passo viene rimarcato con forza maggiore
dalla sua collocazione dopo i distici, che ci riportano alla nostra tesi, in
cui l’Autore fa riferimento alla possibile deriva del proprio destino
profetico, che trascinerebbe con se la conoscenza del «gran titolo» del Sole:
“Nullo di te conto si farà, se io
spento rimango:
quel tuo gran titolo meco sepolto
fia.”
E’ il luogo nel
quale L. Bolzoni individua «una specie di contrattazione»[333], dove
prima di preparare il terreno ad un finale dai toni avvicinabili alle poesie
della ‘conversione’, Campanella mostra, con un atteggiamento certo mutato
rispetto agli impeti della fine del ‘500, di credere ancora fermamente, se non
esplicitamente nel proprio destino profetico, nel ruolo primario della propria filosofia,
messo a dura prova dalle torture e dall’assenza di «quel candido lume» che «gli
negano i ministri della giustizia finta», ma riaffermato nei suoi tratti
primari, come naturale e necessario. L’impossibilità di un’azione concreta, ed
il configurarsi in forme sempre nuove della contraddizione che domina il mondo
e costringe il saggio a travestirsi da folle, non aveva reso certo meno
necessaria la diffusione della sua conoscenza. Il progetto metrico che si
realizza nell’elegia, per quanto distante dagli ardori del suo concepimento, ne
era un segno, che apriva nuove prospettive. Dopo la descrizione del
risvegliarsi della vita in primavera e le riflessioni che ne seguono, la poesia
sembra assumere nuova luce e, nei versi conclusivi, la denuncia che domina
queste prime parti, assume nuove forme e, come evidenzia G. Ernst, adesso è «la
contemplazione e l’amore per la vita che torna ad affacciarsi»[334] e
sembra avere la meglio sui toni scuri della protesta. Infatti, dopo aver dato
voce in un’ultima formula allo spettro dello sua ricerca inappagata della luce
del Sole, resa ancor più inaccettabile dal fatto «ch’a nullo mostro non si
ritenne mai», l’elegia sfocia a poco a poco nella preghiera. Prima prende le
forme di una richiesta al Sole, affinché, «se il Fato è contra», si appelli al
Primo Senno, «ch’al simulacro suo grazia nulla nega», e poi agli «angelici
spirti», affinché preghino Cristo di dare la sua luce al «fervido amante», che
i folli che guidano la giustizia in terra gli negano. Ma subito dopo la preghiera diviene diretta
ed esplicita: «Tu miserere, Dio, tu chi sei larghissimo fonte di tutte le luci:
venga la LUCE TUA »[335].
Leggere questi
ultimi versi, con la consapevolezza della dimensione extra-letterale del
processo di rinnovamento metrico, permette di coglierne la valenza su diversi
fronti, di porre accanto alla denuncia di una contraddizione insanabile e alla
ricerca di un segno del cambiamento, il tentativo di muoversi, attraverso un
esperimento estetico, alla ricerca di quello stesso segno che si esprime,
tematicamente, negli ultimi distici. Ma Al
Sole è anche una profonda testimonianza dell’intrecciarsi, sotto una
visione cosmica unificante, di motivi politico-profetici, qui taciuti ma
operanti sullo sfondo, poesia e rinnovamento della condizione umana. E se
l’accento cade sui motivi
autobiografici, ciò ha il pregio di farci vedere quanto detto per Al senno latino da un diverso punto di
vista, che non fa che avvicinarci alla comprensione della concezione
campanelliana di rinnovamento. Sono tutte risposte alle contraddizioni del
presente, simmetriche nella struttura concettuale, e così, come i saggi sono
resi impotenti, le parole si allontanano da ciò che descrivono, ed entrambi
testimoniano un periodo di decadenza. Come la metrica quantitativa corrisponde
ad un modello naturale che riflette il ritmo vitale dello spiritus, l’assunzione del potere da parte della sapienza
corrisponde ad un’altrettanto naturale ordine delle cose, da cui il presente si
è allontanato e da cui non può che scaturire, tanto in relazione ai motivi
primari del suo pensiero quanto ai drammatici momenti autobiografici, la
denuncia campanelliana. Il fatto che la metrica volgare sia di tipo
qualitativo, così come la condizione del saggio sia la simulazione, corrisponde
all’accettazione di questo momento storico di decadenza e all’incapacità di
concepirlo come un prodotto della storia, che ha comportato l’allontanamento
dal modello naturale e sarà seguito da una rinascita. Rispetto al presente le
elegie con «metrica barbara» incarnano la ricerca di un inversione di tendenza,
che se da un lato è allo stesso tempo inscritta nella ciclicità della storia e
nell’inevitabile ricongiungimento a Dio, dall’altro si traduce nella speranza
ed attesa angosciante della sua venuta. Se Al
senno latino rimandava, sotto la comune appartenenza ad una fase di
decadenza generalizzata, alla denuncia del legame tra il dominio della metrica
qualitativa e la frammentazione violenta dell’impero, nonché l’inversione dei
suoi principi costitutivi, in Al Sole,
per quanto in modo sicuramente meno espliciti, il desiderio di un superamento
della situazione poetica contemporanea viene a corrispondere alla ricerca di
una luce che sia una risposta ad una normalizzazione della violenta gestione
della giustizia.
Gli esperimenti
metrici vengono così a corrispondere, come abbiamo premesso, ad un preciso
dovere letterario, profetico e politico, e, rispetto ai movimenti che
porteranno a «riavere» l’impero, saranno allo stesso tempio «segno e causa»,
spostando i meriti del poeta-profeta piuttosto che sulla realizzazione del
rinnovamento, naturale nella prospettiva campanelliana, sulla capacità di
percepirne le tracce del suo manifestarsi ed individuarvi il segno delle
possibili mutazioni. Se la «metrica barbara» assume questo ruolo profetico è
perché in essa il Nostro vede i caratteri che corrispondono alla sua concezione
poetica, quella naturalità ed universalità che è in fondo, in una
corrispondenza naturale tra i diversi ambiti dello scibile, la cifra comune di
ogni specifica posizione campanelliana.
Inoltre, come è
stato sottolineato, il rinnovamento metrico rimanda con forza ad una più
generale aspirazione alla costruzione di una lingua universale, in cui si
riproduce quella tensione tra passato e futuro, tra nostalgia delle origini e
ansia profetica del futuro, che caratterizza ogni propensione campanelliana al
rinnovamento, che trova chiarificazione in una concezione del bene come
conservazione di quelle prerogative naturali che caratterizzano lo stato umano
primigenio, e in una tensione verso l’avvento del secolo aureo. Ma ciò che più
ci interessa, dietro il sogno di una lingua universale si cela il mito di una
condivisione globalizzata di un sapere altrettanto universale, che sappia
corrispondere, contro ogni frammentazione, la sua struttura unitaria, e sia
capace, come dice Bolzoni, «di garantire una clavis universalis di accesso al sapere»[336].
Note
[327] Cfr. Al Sole, in Poesie, ed. cit., n. 89, Esposizione, p. 455. La datazione dell’elegia si fonda sostanzialmente su questa testimonianza campanelliana, che rimanda al periodo di prigionia in Castel Sant’Elmo (1604-08). Il v. 25 («credesi ch’ogge anche Giesù da morte resurse») ci offre un ulteriore precisazione e, collocando la stesura nel giorno di Pasqua, permette di ridurre a tre le datazioni possibili, anche in considerazione delle date di entrata e di uscita dalla «fossa»: «il 10 aprile 1605, il 26 marzo 1606 ed il 15 aprile 1607»(cfr. F. Giancotti, Ivi, p. 452).
[328] Cfr. F. Giancotti, ivi, p. 449, dove viene ipotizzato che nel passo «M’esaudì al contrario Giano» si ritrovi un riferimento «all’inasprimento della carcerazione per effetto del trasferimento nella fossa di Castel Sant’Elmo», interpretando così la non chiara specificazione «al contrario»; Giano è il dio latino delle porte e dei passaggi.
[329] Ivi, p. 454.
[330] L. Bolzoni, La ricerca campanelliana di una nuova lingua e di una nuova metrica, ed.cit., p. 47.
[331] Cfr. A. Asor rosa, Tommaso Campanella, ed. cit., p. 201.
[332] Al Sole, ed.cit., Esposizione, p. 454.
[333] Ivi, p. 455, (i corsivi sono miei).
[334] Cfr. L. Bolzoni, La ricerca campanelliana di una nuova lingua e di una nuova metrica, ed.cit., p. 48, dove la studiosa, commentando l’elegia, individua tre momenti che si producono nel seguente ordine: dalla denuncia si passa alla contrattazione per poi chiudere con la preghiera.
[335] G. Ernst, Tommaso Campanella, ed. cit., p. 108.
[336] Al Sole, ed.cit., p. 455.
[337] L. Bolzoni, La ricerca campanelliana di una nuova lingua e di una nuova metrica, ed.cit., p. 59.
[327] Cfr. Al Sole, in Poesie, ed. cit., n. 89, Esposizione, p. 455. La datazione dell’elegia si fonda sostanzialmente su questa testimonianza campanelliana, che rimanda al periodo di prigionia in Castel Sant’Elmo (1604-08). Il v. 25 («credesi ch’ogge anche Giesù da morte resurse») ci offre un ulteriore precisazione e, collocando la stesura nel giorno di Pasqua, permette di ridurre a tre le datazioni possibili, anche in considerazione delle date di entrata e di uscita dalla «fossa»: «il 10 aprile 1605, il 26 marzo 1606 ed il 15 aprile 1607»(cfr. F. Giancotti, Ivi, p. 452).
[328] Cfr. F. Giancotti, ivi, p. 449, dove viene ipotizzato che nel passo «M’esaudì al contrario Giano» si ritrovi un riferimento «all’inasprimento della carcerazione per effetto del trasferimento nella fossa di Castel Sant’Elmo», interpretando così la non chiara specificazione «al contrario»; Giano è il dio latino delle porte e dei passaggi.
[329] Ivi, p. 454.
[330] L. Bolzoni, La ricerca campanelliana di una nuova lingua e di una nuova metrica, ed.cit., p. 47.
[331] Cfr. A. Asor rosa, Tommaso Campanella, ed. cit., p. 201.
[332] Al Sole, ed.cit., Esposizione, p. 454.
[333] Ivi, p. 455, (i corsivi sono miei).
[334] Cfr. L. Bolzoni, La ricerca campanelliana di una nuova lingua e di una nuova metrica, ed.cit., p. 48, dove la studiosa, commentando l’elegia, individua tre momenti che si producono nel seguente ordine: dalla denuncia si passa alla contrattazione per poi chiudere con la preghiera.
[335] G. Ernst, Tommaso Campanella, ed. cit., p. 108.
[336] Al Sole, ed.cit., p. 455.
[337] L. Bolzoni, La ricerca campanelliana di una nuova lingua e di una nuova metrica, ed.cit., p. 59.
Indice
Premessa
Introduzione
La Natura del Dominio
Appendice
Bibliografia/Opere di Tommaso Campanella
Premessa
Introduzione
La Natura del Dominio
Appendice
Bibliografia/Opere di Tommaso Campanella
Bibliografia/Opere su Tommaso Campanella
Tesi di laurea di Michele Nucciotti
Relatore Prof.ssa Germana Ernst
Correlatore Prof. Giacomo Marramao
ANNO ACCADEMICO 2005/2006
ANNO ACCADEMICO 2005/2006
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