BILLY E BEN



Qualche feticcio dei miei primi concerti è sopravvissuto, sprofondando anno dopo anno nella scatola dei ricordi, tra biglietti da viaggio, cartoline di inizio millennio e lettere alla vecchia maniera. 
Inutile specificare quale sia stato il concerto più vissuto, quello più sincronizzato con le mie inquietudini adolescenziali. 
Niente di personale Ben, ma l'impatto di Mellon Collie sui miei brufoli fu letale e poi sei arrivato con un'ora di ritardo perché il bassista si era rotto il piede.
Alla fine è sembrata più una suonata tra amici che un combattimento per la mia mente, apprezzabile artisticamente ma a 16 anni non era ancora nelle mie corde. 
Accanto a me sedeva un Daniele Silvestri agli esordi, senza megafono e insieme ad una ragazza con gli occhi da orientale, ma Billy era all'apice Ben.
Ripeto, niente di personale.
Con quella maglietta nera attillata con la stella al centro e la scritta Zero, rigorosamente in tinta con i pantaloni argentati, outfit perfetto per una passeggiata su Marte, con quella pelata che avrei eguagliato a breve, con quella spocchia di chi sa di aver fatto qualcosa di molto buono, ma non ha ancora preso coscienza che non sarà facile ripetersi, con quegli assoli di 2-3 note che tanto infastidivano i metallari, con quella voce sgraziata a cui si perdonava tutto, con tutto questo ed altro, Billy avrebbe avuto la meglio anche su Mark Hollis che mi suona a casa nel giorno del mio compleanno.
E poi non ero un fan dell'ultima ora, uno di quelli che aveva conosciuto Billy dall'incipit del Proiettile con ali di farfalla, in cui, ormai pelato, avvisava gli utenti che il mondo è un vampiro. Avevo già consumato con passione Gish (1991) e Siamese Dream (1994), aspettato quel concerto a lungo e mi sarei dimostrato ben disposto, per far quadrare il budget, a tornare nella notte con il primo treno per Roma, ammassato lungo i corridoi dell'ultimo vagone insieme a mio cugino.
Non preoccuparti Ben, ci rifaremo qualche anno più tardi. 


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