IL PROGRESSIVO AVVICINAMENTO ALLE POSIZIONI FRANCESI


Le condizioni esistenziali di Campanella, in un intenso susseguirsi di richieste inascoltate, costanti revisioni delle sue opere e nuove stesure, si protraggono con i contorni delineati sino all’11 gennaio del 1629, quando, prosciolto in via definitiva dal Sant’Uffizio, viene rilasciato nuovamente ai superiori dell’ordine domenicano. Dal punto di vista politico gli anni nelle carceri romane segnano un lento ma progressivo avvicinamento alle posizioni francesi, in armonia con la visione delle contingenze storiche manifestata da Urbano VIII. Un primo segnale evidente di questa mutazione in divenire è rintracciabile in una perduta Oratio pro Rupella recepta[90], in cui il filosofo calabrese esaltava la presa da parte di Luigi XIII di La Rochelle, roccaforte protestante, avvenuta alla fine di ottobre del 1628. Celebrato anche a Roma, l’evento rappresentava «la vittoria della religione cattolica sull’eresia, ma anche e soprattutto, per il re di Francia, la scomparsa di un vero e proprio Stato nello Stato»[91].
Pochi mesi dopo, la direzione intrapresa prende nuovamente forma nel breve opuscolo intitolato Avvertimento al re di Francia, al re di Spagna e al sommo pontefice circa alli presenti e passati mali d’Italia, in cui ad un ponderato accostamento alle posizione francesi si accompagna un ben  più chiaro allontanamento da quelle filoispaniche. Composto verosimilmente nel 1629, lo scritto si inserisce in un mutato scenario internazionale, che vede la Francia, dopo la vittoria di La Rochelle, libera di inserirsi nelle vicende italiane e contrapporsi attivamente alle pretese della Spagna nella lotta per la successione al ducato di Modena. Nell'opuscolo ritroviamo i temi giovanili dei Discorsi ai principi, che si materializzano in una rinnovata critica alle ostilità tra i principi italiani, che favoriscono gli interessi dei Turchi, nemici della fede. Inoltre, le discordie in seno alla cristianità contribuiscono ad alimentare in Campanella la paura di un conflitto tra Francesi e Spagnoli, che, giocandosi sul territorio italiano, possa mettere a rischio la sopravvivenza del regno di Napoli. 
Di fronte all'ipotesi che la situazione sfoci in uno scontro tra gli interessi privati delle due grandi potenze, lo Stilese ne individua la soluzione nella consegna del regno ad un garante neutrale, che, conformemente alla sua visione, non può che essere il pontefice Urbano VIII, che già da tempo desiderava ingrandire il proprio stato in questa direzione. Andando oltre le vicende contingenti, il filosofo calabrese ribadisce che il dare dei sovrani cattolici alla Chiesa è un «mettere in comunità», che, privando i due contendenti dell’oggetto della contesa, permette loro di dedicarsi al ruolo che gli compete, ovvero la difesa del gregge cristiano[92].
La testimonianza più rilevante dello spostamento verso posizioni filo-francesi, rese ancora più solide dalla frequentazione degli ambienti vicini all’ambasciata di Francia e dal conseguente approfondimento della situazione politica del paese transalpino[93], è sicuramente il Dialogo politico tra un Veneziano, Spagnolo e Francese, circa i rumori passati di Francia, composto a Roma sul finire del 1632, questa volta in condizioni di assoluta libertà. Lo scritto, che vede l’inserimento del distaccato e razionale ‘Veneziano’, portavoce dell’autore, nel duello verbale tra il ‘Francese’ e lo ‘Spagnolo’, inizia con una serie di riferimenti naturalistici, tipicamente campanelliani, che permettono allo spagnolo di sostenere che la Francia, avendo compiuto il suo ciclo, non può né tornare ai fasti dell’età di Carlo Magno né risanarsi, ed al francese di replicare che il passaggio del regno di Francia alla casa dei Borboni ha invece determinato l’inizio di un nuovo ciclo, analogamente a quanto accade quando «in un tronco di vecchia pianta inseriamo un ramuscolo di novella e giovane albore, e fa nuova età, e crescimento, e frutto assai»[94]. Anticipando temi che diventeranno presto centrali nella produzione politica del filosofo calabrese, gli interventi del veneziano sono a loro volta diretti a dimostrare, con accorte argomentazioni, che la Francia, nonostante i dissidi interni, si avvia verso una fase ascendente del proprio percorso storico, contrariamente alla Spagna, i cui segnali di declino sono ormai pienamente manifesti. 
A prescindere dalla «precisa diagnosi dell’evoluzione storica delle due monarchie rivali», che conduce Campanella «a passare da una posizione filo-ispanica ad un impegno pro-francese»[95] e a delinearne, in una prospettiva universale, le rispettive sorti politiche, la ragione più immediata della composizione del Dialogo è la difesa della figura e delle scelte di Richelieu, in un paese paralizzato dai contrasti interni, pericoloso contraltare dei suoi stessi successi militari e diplomatici. Contro le accuse della regina madre, Maria de’ Medici, e del fratello minore del re e probabile erede al trono, Gaston d’Orleans, ostili all'accrescimento del potere del primo ministro francese e fautori di una politica di opposizione a Luigi XIII, lo Stilese cerca di mostrare come le operazioni portate avanti da Richelieu, a differenza di quanto sostengono i suoi oppositori, non siano finalizzate al conseguimento di interessi personali ma volte esclusivamente a restituire alla Francia il passato splendore, consolidando lo stato contro le forze che ne mettono a repentaglio l’unità, scopo che può legittimare anche l’alleanza con potenze eretiche[96]. Quella del cardinale francese, come cercano di testimoniare gli interventi del veneziano, è una politica fondata sul primato del bene comune su quello individuale, che, costituendosi come fedele strumento del sovrano, rafforza il potere della Francia. E’ a questo punto che, «in una pagina di acuta analisi psicologica»[97], Campanella sottolinea come la privazione di un bene personale per uno comune rappresenti per l’uomo uno degli atti più duri da compiere, ancor più se, come in questo caso, viene a verificarsi in un contesto che contrappone, nella conquista di un medesimo bene, più avversari. In questa prospettiva, diviene comprensibile l’odio dei familiari del sovrano verso Richelieu, i quali, mirando soltanto ai propri interessi, non possono che osteggiare l’azione di un uomo virtuoso che cerca di guidare il proprio principe al compimento di grandi imprese.
Oltre a delineare i primi significativi passi della svolta pro-francese, il Dialogo, definito legittimamente, insieme al giovanile Dialogo politico contro Luterani, Calvinisti ed altri eretici, un «testo militante»[98], offre anche una preziosa testimonianza del rapporto campanelliano con l’attualità storica, recentemente studiato, proprio in riferimento allo scritto in analisi, da F. Plouchart-Cohn. La ricostruzione della situazione francese, questa volta basata esclusivamente su un’analisi dei fatti e non su espliciti riferimenti di natura profetica, mostra da parte del frate domenicano un’interpretazione flessibile del concetto di attualità, che si riflette in un’evidente imprecisione cronologica, e che, pur non escludendo la presenza di narrazioni dettagliate, rimanda ad  «una visione globale degli eventi, che s’inscrive in una prospettiva di lungo termine e in una riflessione ben più vasta sul destino della monarchia francese»[99]. Ne nasce una costante oscillazione fra realtà contingente e prospettiva universale, caratteristica della lettura politica dello Stilese, per il quale l’evento non ha valore in sé ma «assume significato una volta inserito nel lungo periodo della storia, che si inscrive esso stesso in un orizzonte profetico»[100]. E' quindi nuovamente la profezia a costituire la risoluzione interpretativa, anche in relazione all'attualità, della visione del mondo campanelliana. In essa l’evento non rappresenta un momento di rottura nel divenire della storia ma «un momento in cui la storia si rende leggibile»[101], ovvero un segno che permette di comprendere cosa si nasconde oltre la sua configurazione attuale. 
Di poco successiva a quella del Dialogo politico è la stesura del Disticon pro rege Gallorum, in cui Campanella conferma la propria propensione per il paese transalpino e, replicando ad un distico che, in riferimento alle evoluzioni dei già citati dissidi interni della Francia, imputava al sovrano francese di essere spietato come il fratricida Turco ed il matricida Nerone messi assieme, sottolinea la pietà del «Gallus», dimostrata con il perdono concesso, nonostante la loro colpevolezza, ai propri familiari[102].



Note
[Fig. 4/b] Il prezioso disegno al carboncino (mm 143 x 135) si conserva nella Bibliothèque Municipale di Lille e fu rintracciato da Luigi Firpo che per primo lo pubblicò. Il disegno, non firmato, fu incollato successivamente sulla c. 349r del codice 690 della Biblioteca – precedentemente segnato 463 – che era appartenuto a Isaac Bullart e a suo figlio Jacques-Ignace. Cfr. L. Firpo, op. cit., schede nn. 9-10, pp. 43-51; E. Canone, L’iconografia campanelliana tra realtà e fantasia, cit., pp. 17-18 e tavv. VI-VII.
[90] Cfr. L. Firpo, Bibliografia degli scritti di T. Campanella, Tip. V. Bona, Torino 1940, p. 193; per la data della redazione dell’Oratio, letta pubblicamente, ma non dallo Stilese, nella Chiesa di San Luigi dei Francesi alla presenza di Urbano VIII, cfr. R. De Mattei, Note sul pensiero politico di Tommaso Campanella (con tre lettere inedite), in Campanella e Vico, Atti del convegno internazionale (Roma, 12-15 maggio 1968), Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1969, pp. 93-107, a pp. 100-101.
[91] F. Plouchart-Cohn, Il Dialogo tra un Veneziano, Spagnolo e Francese di Tommaso Campanella fra storia e profezia, in «Bruniana&Campanelliana», X/2 2004, pp. 319-332, a p. 319.
[92] Cfr. Avvertimento al re di Francia, al re di Spagna e al sommo pontefice circa alli presenti e passati mali d’Italia, in Tommaso Campanella, ed. cit., pp. 945-47.
[93] Per un’analisi dettagliata dei rapporti intrattenuti da Campanella con gli ambienti francesi cfr. M.-P. Lerner, Tommaso Campanella en France au XVII siécle, Bibliopolis, Napoli 1995, p. 43.
[94] Cfr. Dialogo politico tra un Veneziano, Spagnolo e Francese, circa i rumori passati di Francia, in Tommaso Campanella, ed. cit., pp. 955-93, a p. 959. La paternità campanelliana del Dialogo è stata messa in discussione da R. De Mattei ma complessivamente gli studiosi sono pienamente concordi nel riconoscerla e nell’individuarne la data di composizione nella fine del 1632, cfr. R. De Mattei, Note campanelliane, III. Intorno al «Discorso» (o «Dialogo») sui «rumori di Francia» attribuito a T. Campanella, «Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei», XXVI 1971, pp. 583-586.
[95] F. Plouchart-Cohn, Il Dialogo tra un Veneziano, Spagnolo e Francese di Tommaso Campanella fra storia e profezia, ed. cit., p. 323.
[96] Cfr. Dialogo politico tra un Veneziano, Spagnolo e Francese, circa i rumori passati di Francia, ed. cit., p. 986.
[97] G. Ernst, Tommaso Campanella, ed. cit., p. 227; cfr. Dialogo politico tra un Veneziano, Spagnolo e Francese, circa i rumori passati di Francia, ed. cit., p. 962.
[98] F. Plouchart-Cohn, Il Dialogo tra un Veneziano, Spagnolo e Francese di Tommaso Campanella fra storia e profezia, ed. cit., p. 328.
[99] Ivi, p. 322.
[100] Ivi, p. 331.
[101] Ivi, p. 332.
[102] Cfr. Disticon pro rege Gallorum, in Le Poesie, ed. cit., n. 168, pp. 609-610.






Tesi di laurea di Michele Nucciotti
Relatore Prof.ssa Germana Ernst
Correlatore Prof. Giacomo Marramao


ANNO ACCADEMICO 2005/2006


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