SULLA FORTUNA MANCANTE DELLA SPAGNA E QUELLA CRESCENTE DELLA FRANCIA


Nel mese di agosto del 1633 a Napoli viene arrestato, per aver organizzato una nuova cospirazione anti-spagnola, un giovane frate domenicano, il calabrese Tommaso Pignatelli, discepolo di Campanella ai tempi della congiura. L’evento rianima i sospetti, aggravati dalle minacce delle autorità spagnole, contro lo Stilese, il quale, dopo la condanna a morte del Pignatelli nell’autunno del 1634, fugge, nuovamente sotto copertura e con l’aiuto dell’ambasciatore francese François de Noailles, per approdare in Francia alla fine di ottobre. Accolto benevolmente dagli uomini di cultura e dagli ambienti di corte, il filosofo calabrese riprende con rinnovato entusiasmo la propria riflessione politica, dando vita tra il 1635 ed il 1636 ad un ingente numero di opuscoli, che, eterogenei per dimensione, natura stilistica ed efficacia, trovano il proprio comune denominatore nella riproposizione di tesi tipicamente campanelliane in chiave filo-francese, esortando il paese transalpino ad erigersi a tutore della libertà al cospetto della tirannia spagnola, emblematico ultimo atto di una potenza in declino.
Il primo tassello di questa intensa produzione politica è rappresentato dagli Aforismi politici per le necessità di Francia, inviati al papa nella primavera del 1635 e successivamente tradotti in latino ed ampliati, centrati, unitamente agli altri scritti politici del periodo parigino, su uno studio comparato delle due grandi monarchie europee, il cui implacabile esito, già profilato nelle riflessioni dei precedenti lavori, individua da un lato le tracce della parabola discendente della Spagna e dall'altro l’ascesa costante della Francia. Nella contrapposizione serrata che apre l’opera, Campanella sottolinea come «combatter con chi ha la fortuna crescente è pericolosissimo […]. E il combatter con chi ha fortuna mancante rende facile la vittoria», delineando così il nuovo ruolo profetico assunto dalla potenza francese, supportata per l’appunto da una «fortuna crescente», e, come già sostenuto dal ‘Francese’ nel Dialogo politico del 1632, con analoghi riferimenti naturalistici, «si deve stimare che la fortuna invecchiata de Francesi in casa di Valois si ringiovanisca in quella di Borbone, come in un ramo vecchio insertando nuovo». Ad essa, simmetricamente contrapposta, è la «fortuna mancante» della Spagna, la cui decadenza appare irreversibile, perché «le cose che presto crescono, mancano presto […] al contrario li alberi che arrivano tardi al frutto vivono lungamente»[103]. Se in precedenza, come sarà ribadito nel De politica, la sorprendente rapidità che ha caratterizzato la formazione dell’impero spagnolo, in un intreccio oltremodo favorevole di circostanze esterne, portava in sé il segno di un’investitura profetica a favore del sovrano della Spagna, adesso l’accento cade su una più realistica perplessità sulla solidità delle sue fondamenta.
Al 1635 risale anche la stesura dei Documenta ad Gallorum nationem, in cui, con un artificio narrativo dal forte valore simbolico, lo Stilese immagina che Carlo Magno, rivolgendosi alla propria nazione, sottolinei, mettendoli in guardia dalle trame ingannevoli della politica spagnola, i meriti dell’attuale sovrano e del suo primo ministro. Nel discorso rivolto ai Francesi, Carlo Magno ricorda le disposizioni che hanno plasmato la sua condotta politica e sulla quali ha fondato il proprio regno, «sottoposto a Dio e non contro di lui, non con fede falsa e simulata, che rende pavido e vile il cuore, privo della speranza della ricompensa divina e dell’immortalità eterna»[104].
Ai due testi citati deve essere aggiunta un’estesa opera senza titolo, rimasta incompiuta e convenzionalmente chiamata Monarchia di Francia, e gli scritti del 1636, recentemente rinvenuti da Luigi Firpo, tutti riguardanti la situazione politica del tempo e complessivamente identificabili come «interventi volti a sostenere la politica francese e a denunciare l’inesorabile declino della potenza spagnola»[105]. Oltre a due memoriali, indirizzati rispettivamente ad un gentiluomo francese non identificato e al sovrano Luigi XIII[106], il codice miscellaneo ritrovato dallo studioso piemontese include tre allocuzione, indirizzate a Genova, al duca di Savoia e al granduca di Toscana, e due scritture inedite, pubblicate solo recentemente, la prima comprendente tre discorsi ai principi cristiani, che riprendono le tematiche dei Discorsi giovanili armonizzandole con le nuove posizioni assunte da Campanella, e la seconda comprendente un nucleo di scritti, intitolato Avvertimenti a Venezia, in cui vengono affrontati sinteticamente alcuni aspetti primari della relazione fra politica e dogmi teologici nella pensiero campanelliano.
A dominare gli scritti elencati, caratterizzati da una rilevante omogeneità tematica, è sicuramente l’individuazione inesorabile delle cause della parabola discendente della Spagna, che ripropone in una forma esasperata, frutto di una cruda disanima della realtà, argomentazioni già delineate negli scritti filo-ispanici. Quelli che prima erano dei consigli volti a guidare il sovrano spagnolo a sopperire ai propri errori, per rispondere prudentemente alla propria missione profetica, adesso diventano accuse implacabili, che trovano nuovamente le loro ragioni primarie nell'incapacità di ispanizzare e tesorizzare della Spagna. Contrariamente ai Romani, che all’ampliamento territoriale facevano seguire l’incremento dei cittadini, gli Spagnoli, nella loro infinita alterigia, disprezzano ogni forma di integrazione con altri popoli, venendo a mancare, di fronte all'estensione del proprio impero, di risorse umane. Denunciando l’inosservanza delle politiche matrimoniali consigliate nella Monarchia di Spagna, lo Stilese sottolinea come la contrazione demografica abbia assunto per il gli Spagnoli forme inquietanti, spingendoli a diradare le popolazioni dei pesi in cui approdano, al punto da essere «abominati da ogni nazione per la crudeltà e per la superbia immensa»[107].  Tradendo la missione profetica di cui sono stati investiti dalla provvidenza divina e trasformandosi in carnefici invece di evangelizzare il mondo intero ed edificare la monarchia universale, gli Spagnoli sono diventati strumenti dell’ira divina e, incapaci di governare le nazioni sottomesse con leggi conformate alla natura dei popoli, hanno perpetuato la loro azione distruttrice, dominata dalle cupe tinte della morte: «Andate dagli Americani e in quelle terre così sterminate non troverete più esseri viventi, ma soltanto ossa e ceneri, e la terra ingrassata dal sangue dei suoi abitanti»[108].
Per quanta concerne la già delineata questione dell’incapacità di tesorizzare e la dannosa politica economica, ad essa strettamente connessa, il filosofo calabrese si sofferma, come aveva già fatto moderatamente nella Monarchia di Spagna, sulla rovinosa amministrazione delle entrate e l’irrazionale distribuzione del denaro a favore di cause prive di utilità per lo stato, che generano vizi e disuguaglianze sociali sempre più forti, contribuendo, in un contesto in cui ormai tutti preferiscono servire i ricchi piuttosto che lavorare, all’abbandono dell’agricoltura e dei mestieri.
A pagare le conseguenza più evidenti di questa politica è proprio il mezzogiorno italiano, di cui Campanella aveva già denunciato le condizioni allarmanti negli scritti filo-ispanici, non soltanto in molte pagine implacabili della Monarchia di Spagna, ma anche negli  Arbitrii tre sopra l’aumento delle entrate del regno di Napoli, il primo dei quali sollecitava il sovrano ad assumere «la vera e naturale funzione di padre e pastore del suo popolo»[109], ponendo fine alla speculazione sui beni di prima necessità, in primis al commercio del grano, causa della disperazione dei cittadini e della carestia, che non dipende certo da Dio o dalla natura, ma dall'irresponsabile politica economica di mercanti ed usurai, che, pur di rinunciare ai guadagni prospettati, fanno marcire i loro prodotti, per poi venderli in condizioni deplorevoli, «tantoché si spopola il paese, ché altri fuggono fuor del Regno, […] altri si crepano con quel cibo nefando e di erbe ammaliate ed oppressi da usura, fame, peste e guai»[110]. Negli altri scritti politici del periodo francese l’allarmante situazione del regno napoletano è richiamata costantemente, fino ad assumere forme sconcertanti nel nono capitolo dei Documenta ad Gallorum nationem, nel quale viene sottolineato come ormai nel meridione d’Italia, dove le tasse pagate sono maggiori ai beni posseduti, il criterio definitorio del giusto sia «l’avidità e la superbia spagnola»[111].  Al cospetto del quadro descritto, lo Stilese sostiene invece, difendendo l’attuale politica della Francia dalle lamentele dei sudditi, la legittimità dell’utilizzo delle entrate da parte dell’amministrazione francese, finalizzata all'accrescimento della fastosità della nazione e del suo potere nel panorama internazionale.
La degradazione del regno napoletano è però solo un riflesso della corruzione della Spagna, la cui decadenza è generale e testimoniata dalla totale mancanza di virtù e dall'espandersi dei vizi, tratti tipici del paese in declino. In conformità alle costanti della dottrina politica campanelliana, la monarchia spagnola si presenta infatti come un organismo privo di unità e coesione, le cui parti sono inesorabilmente lontane e disgiunte. Di fronte all'agonia della potenza rivale, la Francia, ormai nelle condizioni di sostituirsi ad essa nel ruolo di stato egemonizzante, deve invece prendere iniziative dirette ad accelerare la fine del dominio della Spagna, incapace di celare i segni irreversibili del tramonto del proprio potere, opponendo alla sua astuzia la trasparenza dei propri valori effettivi, e, anticipando le sue subdole manovre segrete, «cominciar la guerra  al modo di Francia»[112], rapidamente. Infine, nel guidarli al conseguimento dell’obbiettivo delineato, Campanella esorta i Francesi a smascherare l’ipocrisia religiosa della Spagna, spezzando così il primario vincolo politico del suo impero e liberando le popolazioni dalla sua tirannia.
Quest’ultimo appello prende anche le forme di un’allocuzione giuridica latina, la cosiddetta Comparsa regia, indirizzata dal sovrano francese al papa affinché, a causa dell’evidente tirannia ed eresia che ormai la contraddistinguono, dichiari decaduti i diritti imperiali della casa d’Austria, priva di qualsiasi carattere universalistico che ne legittimi il ruolo di paladina della cristianità. Gli Spagnoli si autoproclamano invece esclusivi depositari della fede e in suo nome si macchiano di crimini chiaramente inconciliabili con una visione cristiana del dominio umano, strumentalizzando per propri interessi i favori concessi dalla Chiesa in virtù del ruolo precedentemente riconosciutogli e accusando allo stesso tempo le altre nazioni di eresia. Ma, come è stato sottolineato, «se Campanella ha buon gioco nel mostrare la natura tutta politica dell’appello alla religione da parte degli Spagnoli, ciò non significa che per lui la politica vada disgiunta da essa»[113]. Anche nei testi politici del periodo francese viene infatti più volte ribadito come in ogni stato la religione abbia da sempre dominato sulla politica, a prescindere dalla sua veridicità, e, come sarà riaffermato con insistenza nel De politica, che «i principi in tanto signoreggiano, in quanto mostran depender da Dio, signor de’ signori»[114].




Note
[Fig. 4/b] Il prezioso disegno al carboncino (mm 143 x 135) si conserva nella Bibliothèque Municipale di Lille e fu rintracciato da Luigi Firpo che per primo lo pubblicò. Il disegno, non firmato, fu incollato successivamente sulla c. 349r del codice 690 della Biblioteca – precedentemente segnato 463 – che era appartenuto a Isaac Bullart e a suo figlio Jacques-Ignace. Cfr. L. Firpo, op. cit., schede nn. 9-10, pp. 43-51; E. Canone, L’iconografia campanelliana tra realtà e fantasia, cit., pp. 17-18 e tavv. VI-VII.
[103] Aforismi politici per le necessità di Francia, in Tommaso Campanella, ed. cit., pp. 999-1007, a p. 1000.
[104] Documenta ad Gallorum nationem, in Opuscoli inediti, a cura di L. Firpo, Olschki, Firenze 1951, pp. 57-103, a p. 59.
[105] G. Ernst, Ancora sugli ultimi scritti politici di Campanella. I. Gli inediti Discorsi ai principi in favore del papato, in «Bruniana&Campanelliana», V/I 1999, pp. 131-53, a p. 131; Cfr. L. Firpo, Gli ultimi scritti politici del Campanella, in «Rivista storica italiana», LXXIII 1961, pp. 772-801.
[106] Cfr. L. Firpo, Idee politiche di Tommaso Campanella nel 1636 (Due Memoriali inediti), «Il pensiero politico», XIX 1986, pp. 197-221, a pp. 207-221. 
[107] Monarchia di Francia, in Monarchie d’Espagne et Monarchie de France, ed. cit., pp. 373-597, a p. 394.
[108] Documenta ad Gallorum nationem, ed. cit., a p. 95.
[109] G. Ernst, Tommaso Campanella, ed. cit., p. 239.
[110] Arbitrii tre sopra l’aumento delle entrate del regno di Napoli, in Discorsi ai principi d’Italia e altri  scritti filo-ispanici, ed. cit., p. 169. 
[111] Documenta ad Gallorum nationem, ed. cit., a p. 91.
[112] Monarchia di Francia, ed. cit., p. 582.
[113] G. Ernst, Tommaso Campanella, ed. cit., p. 241.
[114] Monarchia di Francia, ed. cit., p. 484.





Tesi di laurea di Michele Nucciotti
Relatore Prof.ssa Germana Ernst
Correlatore Prof. Giacomo Marramao


ANNO ACCADEMICO 2005/2006


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