ANCORA SUL RAPPORTO TRA DOGMI TEOLOGICI E POLITICA E SULLA CONGIUNZIONE TRA PROFEZIA ED UTOPIA

Strettamente connesso alla terza delle De papatus bono ad princeps orationes tres è l’ultimo testo campanelliano del 1636, gli Avvertimenti a Venezia, seguito da un breve scritto in cui il filosofo «sembra tirare le fila delle tematiche sui rapporti fra papato e principi che circolano in tutta la costellazione di questi ultimi testi politici»[127]. Gli Avvertimenti sono invece centrati specificatamente sul rapporto tra dogmi teologici e politica, e, attraverso argomentazioni maggiormente teoriche, riaffermano tesi già esposte nel Dialogo politico contro Luterani, Calvinisti ed altri eretici e ribadite sinteticamente in altri scritti di diverso argomento, in primis il legame inscindibile tra alcuni presupposti religiosi primari, quali la provvidenza divina, il libero arbitrio e l’immortalità dell’anima, ed una conservazione ordinata e civile delle comunità politiche. Ne segue la condanna di tutte quelle dottrine teologiche che vanificano l’incidenza delle opere buone sulla salvezza e che, come la teoria della predestinazione di riformati e maomettani, pongono l’accento esclusivamente sull’iniziativa divina, deresponsabilizzando, con la negazione del libero arbitrio, i cittadini nei confronti dello stato. In questa prospettiva le religioni eretiche vengono ad ‘omologarsi’ alle concezioni ateistiche, in quanto anch’esse, richiamandosi ad un Dio che ha già stabilito il destino degli uomini, non giudicabili al suo cospetto per i rispettivi meriti, mettono a repentaglio la conservazione di un dominio. Entrambe finiscono infatti, privando la politica di quella connessione originaria ed ineliminabile con la religione, per legittimare l’operato dei tiranni, autorizzati indirettamente a governare subdolamente, dei popoli sediziosi, che di fronte all’irrilevanza di ogni loro azione si abbandonano a condotte sregolate, e dei teologi ‘sconscienziati’, che «predicano a noi il cielo per pigliarsi la terra e non per il cielo, sapendo che non  l’averan se non li fu destinato, e se fu destinato, non li mancherà»[128]. E a mettere in discussione la rigida posizione campanelliana non basta certo il successo politico delle dottrine riformate, interpretato come un fenomeno contingente, le cui ragioni vengono individuate nella guerra comune contro il papato, nella natura dei suoi seguaci, incapaci di trarre le estreme conseguenze dalla loro stessa teoria della predestinazione, e nel fatto che, talvolta, «prevale in loro la natura bona all’opinion et arte falsa» [129]. Se un inflessibile predestinazionismo accomuna riformati e maomettani, ai seguaci di Maometto viene in particolare rimproverato, non senza tinte sarcastiche, di aver edificato il loro potere sulla proibizione di ogni libertà scientifica e d’espressione, annichilendo allo stesso tempo i propri sudditi, i quali «si pensano esser felici nella schivitudine, e combatten per quella»[130], perseguitando i loro liberatori, ormai incapaci di stimare l’immenso valore della libertà. Il messaggio è chiaro: Venezia commetterebbe un imperdonabile errore politico se cedesse alla proprie tentazioni scismatiche.  
Nell’esilio parigino Campanella ha anche la possibilità di dedicarsi alla cura delle edizioni dei suoi scritti, per buona parte dei quali riesce ad ottenere le approvazioni necessarie alla stampa. Tra il 1636 ed il 1638, nonostante il persistere dell’avversità degli ambienti romani, vedono così la luce i primi tomi dell’Opera omnia progettata, tra i quali la Philosophia realis, contenente la stesura definitiva del De politica, la Civitas Solis e le Quaestiones politicae. Fine comune delle sue opere, come non si stancherà mai di ripetere, è «richiamare gli uomini alla lettura del libro della natura e alla scuola infallibile di Dio, solo maestro verace e degno di fede indubitata»[131].
Nelle settimane successive alla nascita del Re Sole, avvenuta Il 5 settembre 1638, esattamente settant’anni dopo quella del filosofo calabrese, lo Stilese compone, in esametri latini, l’Ecloga in nativitatetm Delphini, in cui torna a prendere forma quella connessione tra profezia, utopia e astrologia, sfondo costante della sua riflessione politica, che aveva dominato i primi lavori, e che, riaffermata in un contesto così diverso, acquista una forza emblematica, venendo a testimoniare la permanenza nell’autore di ideali e propensioni mai abbandonate. Appellandosi alle Muse di Calabria, Campanella chiede loro di liberarlo dalle fragilità della vecchiaia, per permettergli ancora di mostrare al mondo le tracce degli occulti disegni divini e diffondere la propria fiducia  nell’imminenza del secolo d’oro, annunciato dai segni celesti e posto profeticamente nelle mani del futuro re, chiamato ad instaurare un’epoca in cui «l’amore fraterno, una volta che sia stato conosciuto, concilierà tutti»[132]. Infine, nove mesi prima della sua morte, avvenuta il 21 maggio del 1639, il frate domenicano allega all’edizione della Philosophia realis, inviata a Fernando II De’ Medici il 6 luglio 1638, una lettera che, riportandoci idealmente al punto da cui siamo partiti, chiude la nostra ‘biografia politica’. Dopo il ricordo delle giovanili speranze disattese di ottenere una cattedra in Toscana e i riferimenti autobiografici e alla propria riforma del sapere, fino all’agonizzata stampa delle proprie opere, Campanella si sofferma nuovamente sul destino inesorabile del profeta, che è stato, è e sarà il suo stesso destino: «Il secolo futuro giudicherà noi, perch’il presente sempre crucifige i suoi benefattori, ma poi resuscitano al terzo giorno o ‘l terzo secolo»[133].




Note
[Fig. 4/b] Il prezioso disegno al carboncino (mm 143 x 135) si conserva nella Bibliothèque Municipale di Lille e fu rintracciato da Luigi Firpo che per primo lo pubblicò. Il disegno, non firmato, fu incollato successivamente sulla c. 349r del codice 690 della Biblioteca – precedentemente segnato 463 – che era appartenuto a Isaac Bullart e a suo figlio Jacques-Ignace. Cfr. L. Firpo, op. cit., schede nn. 9-10, pp. 43-51; E. Canone, L’iconografia campanelliana tra realtà e fantasia, cit., pp. 17-18 e tavv. VI-VII.
[127] G. Ernst, Ancora sugli ultimi scritti politici di Campanella. II. Gli Avvertimenti a Venezia del 1636, in «Bruniana&Campanelliana», V/II 1999, pp. 447-465, a p. 447; cfr. Avvertimenti a Venezia, ivi, pp. 463-465.
[128] Ivi, p. 457.
[129] Ivi, p. 459.
[130] Ivi, p. 458.
[131] G. Ernst, Tommaso Campanella, ed. cit., p. 244.
[132] Ecloga in principis Galliarum Delphini nativitatetm, in Le poesie, a cura di F. Giancotti, Einaudi, Torino 1998, pp. 611-666, a p. 653.
[133] Lettere, ed. cit., p. 390.





Tesi di laurea di Michele Nucciotti
Relatore Prof.ssa Germana Ernst
Correlatore Prof. Giacomo Marramao


ANNO ACCADEMICO 2005/2006


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