LO SCENARIO POLITICO ITALIANO: INTERVENTO FRANCESE, EMANCIPAZIONE DALLA TIRANNIA SPAGNOLA ED ALLEANZA CON IL PAPATO

Se la Francia vuole veramente condurre alle estreme conseguenze la divisione che, ben oltre le apparenze, caratterizza l’impero spagnolo, deve intervenire al più presto là dove lo Stilese individua il cuore pulsante della fragilità del paese iberico, ovvero lo scenario politico italiano. Ferma è infatti la convinzione campanelliana che i principi italiani persistano nell’assecondare la tirannia della Spagna più per paura che per intima o interessata condivisione della sua politica. Il loro è in realtà un sostegno o una sottomissione di facciata, dietro il quale fermenta il germe dell’odio, sul quale i Francesi, dopo aver svolto una persuasiva attività di rassicurazione, liberando il terreno dai pregiudizi ormai diffusi contro di loro dall’astuta monarchia spagnola, devono operare per accelerare il declino della potenza rivale, cercando di legittimare agli occhi dei principi italiani la propria volontà di assumere un ruolo primario nello scenario internazionale, diretto non all’estensione del proprio territorio ma alla liberazione della penisola dalla dominazione della Spagna. Allo stesso tempo devono confortare, mostrando di non aver alcuna intenzione di limitare le loro prerogative, il papa e gli ambienti circostanti alla Chiesa.
E’ in questa prospettiva che si inseriscono le già citate allocuzioni del 1636, indirizzate a Genova, al duca di Savoia e al granduca di Toscana, in cui Campanella esorta i destinatari a scindere ogni legame, politico ed economico, con la potenza iberica, dalla quale possono ricavare, visto il suo declino politico e morale, soltanto danni ed impaccio. Posta anche l’evidente corrispondenza delle argomentazioni, i tre brevi scritti  vengono a costituirsi come una palinodia dei giovanili Discorsi ai principi d’Italia, trent’anni prima invitati ad appoggiare la missione universalistica della Spagna, fondata sull’occulta provvidenza divina e finalizzata alla realizzazione della profezia giovannea «unum ovile et unus pastor»[115]. Adesso invece, con altrettanta determinazione, il frate domenicano cerca di fargli aprire gli occhi sulla sudditanza, quasi inconsapevole, che li lega al monarca spagnolo, portandoli paradossalmente a potenziare con uomini e danaro colui che li distruggerà e che senza il loro sostegno avrebbe verosimilmente già posto la parola fine al proprio ciclo storico. I principi italiani devono invece prendere coscienza delle proprie forze e riappropriarsi, con l’emancipazione dal dominio di un impero ormai agli ultimi atti della propria parabola discendente, della propria libertà.  
Nell’appello a Genova il ricordo del suo glorioso passato introduce, evidenziandone il contrasto, la descrizione dello stato attuale, che vede la città, in una condizione di schiavitù volontaria, ridimensionarsi per l’avidità di un guadagno che non si concretizzerà mai. Le entrate assicurate dal regno di Napoli diventano infatti prestiti obbligati alla monarchia spagnola, che certo non li restituirà, portando con sé, da quando i Genovesi sono diventati «pubblicani di Spagna», soltanto perdita di prestigio ed depauperamento, senza dimenticare la conseguenza aggiuntiva di attirare su di sé l’odio dei vassalli oppressi[116]. Il duca di Savoia viene invece invitato ad abbandonare l’ambigua politica attuata dal padre, che, facendo con disinvoltura la spola tra Francia e Spagna, della quale vengono rammentate falsità e crudeltà, aveva sempre tratto dai loro conflitti ingenti guadagni. Campanella sottolinea come adesso questo doppio gioco si rivelerebbe ad alto rischio, inserendosi in una situazione che richiede invece una presa di posizione netta, che comporterà «o di perder tutto o d’acquistarsi regno»[117]. Infine, nell’allocuzione indirizzata a Ferdinando II, granduca di Toscana, il filosofo calabrese sprona esplicitamente il suo interlocutore a rendersi conto del rapporto di sottomissione che lo lega al sovrano spagnolo, invitandolo a mostrarsi lungimirante e quindi a liberarsi dell’illusione di instaurare una alleanza amichevole e paritaria con chi lo tiene come «un lepre o una colomba nelle sue mani»[118]. Al fine di liberare i principi italiani da questa «sorta d’incantesimo», che li mantiene al servizio della Spagna, e di esortare la Francia ad assumersi la responsabilità di liberare la terra dalla tirannia, lo Stilese torna a sottolineare l’opportunità che un filosofo, riportando gli eventi alla loro specifica dimensione profetica, sappia svelare, andando oltre le apparenze, la natura irreversibile del declino di un dominio. E Campanella, «nonostante le delusioni, la stanchezza degli anni, le amarezze patire»[119], si mostra ancora disposto ad interpretare questo ruolo. 
Resta adesso da delineare le caratteristiche degli ultimi due gruppi di scritti politici, con i quali si esaurisce il materiale inedito rinvenuto da Firpo. Del primo, identificato con il De papatus bono ad princeps orationes tres, citato nell’Index definitivo stampato in calce alla Philosophia rationalis[120], è stato sottolineato come riproponga, in un’ottica filo-francese, motivi già noti, senza integrarli con spunti veramente significativi. Benché si presentino ancora allo stato di un abbozzo, sono pagine che «risultano come appannate, e sembrano risentire di una certa stanchezza senile»[121], comunque preziose al fine di definire con maggiore precisione, anche se solo attraverso la conferma di tesi sviluppate più efficacemente in altri testi, il quadro complessivo della produzione politica campanelliana. I tre discorsi in questione sono infatti centrati nuovamente sul rapporto tra principi cristiani e papato e cercano di dimostrare come sia politicamente vantaggioso e necessario per i primi allearsi con il pontefice, ancora una volta indicato come «padre comune», garante di pace e di giustizia, la cui azione è rivolta a difendere con neutralità i loro i diritti ed al conseguimento dell’unione dei domini cristiani contro i nemici della fede. A questi motivi ormai noti, si aggiunge, in conformità agli altri scritti parigini, il rinnegamento dell’investitura profetica del sovrano spagnolo e l’individuazione del nuovo ruolo egemone assunto dalla Francia, a cui spetta il compito di proteggere l’unità e la libertà dei cristiani.
Nel primo discorso, Sopra l’utilità e necessità di promover il papato, in cui termini dei giovanili Discorsi ai principi d’Italia sono riproposti quasi letteralmente, Campanella sottolinea come il papato, non identificandosi con alcun interesse particolare, familiare o nazionale, non abbia ragioni di estendere il proprio potere per ambizione personale ma presenti piuttosto una natura universale, preposta anche a sostenere la diffusione del sapere, contrariamente ai tiranni che per amor proprio mantengono i popoli nell’ignoranza ed osteggiano i virtuosi. Richiamata l’attenzione sul ruolo fondante assunto dalla religione anche nel legame che unisce vassalli e principi, la conclusione del filosofo calabrese ribadisce come sia «utilissimo a cristiani principi lasciar crescere il papato, in cui consiste l’unione e la forza loro e la difesa dall’infedeli, la giustizia, e la sicurtà e tra principi e principi, e tra principi e vassalli»[122]. Nel Secondo discorso, in cui formalmente un portavoce del re francese, liberando il terreno da ogni sospetto sulle ambizioni espansionistiche della Francia, indirizza un’orazione al pontefice per rassicurarlo della bontà degli intenti del proprio paese, lo Stilese cerca nuovamente di dimostrare come l’intervento francese nello scenario politico italiano sia esclusivamente volto a liberare i principi cristiani da ogni forma di tirannia, quella spagnola in primis: «Lasci dunque Vostra Santità ogni sospetto, e pigli coraggio se voglia ha d’estinguere le liti tra principi cristiani, e accenderle tra infedeli, e non aspetti che quelli che vorrebben far del papato lor parrocchia […] disturbino la presente occasione, utilissima a la liberazione d’Italia»[123]. Infine, nel terzo discorso, A Venezia per l’union sua col papato per ben suo proprio e del cristianesimo e d’Italia, indicato come «corollario del primo e del secondo», il filosofo calabrese torna ad ‘intervenire’ sulla scena veneziana, «costante punto di riferimento della sua riflessione politica»[124]. Prima portata ad esempio per la prudenza del suo governo in un sonetto del 1601, poi sconfessato pochi anni più tardi in una poesia giocata sulle stesse rime ed  inserita negli Antiveneti[125], scritti in un contesto infiammato, come abbiamo visto, dallo scontro con Paolo V, Venezia viene qui nuovamente invitata ad instaurare una solida alleanza, nell’identità dei rispettivi interessi, con il pontefice, della quale vengono ribaditi i vantaggi politici, già manifestati nella recente e passata storia della città lagunare. Vengono inoltre riformulate con forza le critiche alle dottrine portatrici di principi ateistici, come quella di Paolo Sarpi, che, oltre a danneggiare politicamente la repubblica veneziana, si diffondono, con conseguenze estremamente nocive, tra i giovani. Riaffermata l’identificazione della religione con l’anima di un organismo politico, in quanto suo vincolo primario, Campanella condanna infine coloro che, attentando ad essa, mettono a rischio la conservazione del dominio, cadendo in un grave errore di ordine politico, anche perché il popolo, più forte del principe, «sta soggetto, perché la religione, con promettere eterni beni a chi obbedisce al principe e alla legge, e l’inferno a chi disobbedisce, fa stare uniti i popoli con il suo principe, e li toglie l’animo di rebellare»[126].  




Note
[Fig. 4/b] Il prezioso disegno al carboncino (mm 143 x 135) si conserva nella Bibliothèque Municipale di Lille e fu rintracciato da Luigi Firpo che per primo lo pubblicò. Il disegno, non firmato, fu incollato successivamente sulla c. 349r del codice 690 della Biblioteca – precedentemente segnato 463 – che era appartenuto a Isaac Bullart e a suo figlio Jacques-Ignace. Cfr. L. Firpo, op. cit., schede nn. 9-10, pp. 43-51; E. Canone, L’iconografia campanelliana tra realtà e fantasia, cit., pp. 17-18 e tavv. VI-VII.
[115] Cfr. Orationes politicae pro speculo presenti (A Genua; Al duca di Savoia; A Ferdinando II granduca di Toscana), in L. Firpo, Gli ultimi scritti politici del Campanella, in «Rivista storica italiana», LXXIII 1961, pp. 772-801.
[116] Ivi, p. 797.
[117] Ivi, p. 798.
[118] G. Ernst, Tommaso Campanella, ed. cit., p. 243.
[119] Cfr. C. Dentice D’Accadia, Gli scritti di Tommaso Campanella, «Giornale critico della filosofia italiana», II 1921, fasc. 3, pp. 68-70, a p. 70.
[120] G. Ernst, Ancora sugli ultimi scritti politici di Campanella. I. Gli inediti Discorsi ai principi in favore del papato, in «Bruniana&Campanelliana», V/I 1999, p. 137.
[121] De papatus bono ad princeps orationes tres, in G. Ernst, Ancora sugli ultimi scritti politici di Campanella. I. Gli inediti Discorsi ai principi in favore del papato, ed. cit., p. 143.
[122] Ivi, pp. 148-149.
[123] G. Ernst, ivi, p. 135.
[124] Cfr. A Venezia, in Le poesie, ed. cit., n. 38, pp. 205-207; Solo Cam con la sua progenie immonda, ivi, n. 167, pp. 607- 608.
[125] Ivi, p. 150.
[126] G. Ernst, Ancora sugli ultimi scritti politici di Campanella. II. Gli Avvertimenti a Venezia del 1636, in «Bruniana&Campanelliana», V/II 1999, pp. 447-465, a p. 447; cfr. Avvertimenti a Venezia, ivi, pp. 463-465.




Tesi di laurea di Michele Nucciotti
Relatore Prof.ssa Germana Ernst
Correlatore Prof. Giacomo Marramao


ANNO ACCADEMICO 2005/2006


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