IL FONDAMENTO METAFISICO DEL DOMINIO UMANO




LA NATURA DEL DOMINIO


1.  La politica come scienza  

Campanella, nel secondo capitolo dell’edizione parigina del De politica, fornisce la propria scienza politica di una breve trattazione di filosofia del diritto, assente o comunque implicita nelle stesure precedenti. L’integrazione si rivela fondamentale ai fini di una più chiara comprensione dei presupposti teoretici della sua concezione del potere politico, «venendo a costituire quella ferma saldatura tra la propria dottrina politica e l’intimo nucleo del proprio sistema filosofico, che era sino a quel momento mancata»[152]
La distinzione tra diritto, dominio e beneficio, che apre la dissertazione, riflette infatti la struttura dell’essere e la sua ripartizione in tre principi costitutivi, o primalità, secondo la metafisica campanelliana. Le tre primalità sono la Potenza, la Sapienza e l’Amore, e mentre in Dio sono infinite e fuse in una suprema sintesi, nelle cose sono distinte e limitate dai loro contrari. Ad ognuna di esse appartiene un’attività che ne distingue l’essenza, ovvero alla prima dominare, alla seconda guidare e alla terza, espressione della «triplice facoltà della triplice primalità», aiutare, attività che racchiude le precedenti portandole a perfezione[153].
Alla luce di questo presupposto metafisico, dal potere deriva il dominio, che appartiene al superiore sugli inferiori in ciò in cui sono inferiori, dalla ragione il diritto, che accomuna gli uguali in ciò in cui sono uguali, e dalla carità il beneficio, che si ha tra colui che possiede e colui che ha bisogno. Premesso che ogni ente agisce per il bene, che è la conservazione di «ciò che abbiamo ricevuto dal primo ente per il fine stabilito dal medesimo»[154], l’Amore compie la propria azione benefica quando si estende ad altro da sé per aiutarlo a realizzare il proprio fine, ovvero la conservazione del proprio essere. Come il tutto benefica le parti e l’anima il corpo, così lo stato benefica i cittadini, il bene dei quali, come vedremo, è in funzione del bene dello stato.
Dopo aver delineato in poche righe l’essenza del beneficio, Campanella dedica ampio spazio alla caratterizzazione del diritto secondo la sua concezione teologica. Il diritto è il frutto dell’«eccessiva carità» divina, di un beneficio tra Dio e gli uomini, tra chi possiede l’eternità e chi ne è privo, e quindi una possibilità di salvezza per coloro che vorranno rispettarne le norme. Per il filosofo calabrese non esiste infatti alcun diritto umano che regoli autonomamente la convivenza tra gli uomini, e Dio, con la sua fondazione, ha creato un ponte tra finito ed infinito, prima inesistente, manifestando la sua volontà di «conversare con gli uomini»[155], di fornirli di strumenti che li rendano capaci di sopperire alla propria incompletezza, guidandoli alla realizzazione del fine per il quale li ha creati.
«Norma del bene e del giusto»[156], il diritto uniforma le opere, le conoscenze e le sensazioni al fine disposto da Dio, dalla natura o dall’arte. Sulla base di questa tripartizione il diritto può essere quindi suddiviso in divino, naturale e artificiale. Il diritto divino è eterno e guida tutti gli enti, che «sono secondo armonia, misura e peso»[157], al perseguimento del proprio fine, che è il bene degli stessi sia rispetto al tutto che alle parti. Dal diritto divino deriva quello naturale, che sorregge il cielo, la terra, gli elementi e le rispettive attività, ed ha i propri principi fondanti nel raggiungimento di tutto ciò che conserva, in quanto bene, e nell’allontanamento da tutto ciò che distrugge, in quanto male. Poiché anche la natura, manifesto dell’infinità sapienza divina, eguaglia le proprie opere al fine stabilito, è diritto tutto ciò che gli enti fanno per la permanenza nell’essere e per opporsi alla sua distruzione, finalità che desiderano e perseguono per natura. Il diritto artificiale, definito anche positivo, deve essere invece dedotto dal diritto naturale, affinché, attraverso di esso, possa riflettere i disegni universali del diritto divino, poiché la norma che «non si conclude dal diritto eterno mediante il diritto naturale, o ripugna al diritto naturale, non è diritto né legge»[158].
Presupposto del diritto artificiale è che l’arte imiti la natura, e, secondo le modalità di deduzione delle regole che stabilisce, può essere distinto in diritto delle genti e diritto civile. Secondo il primo le norme vengono dedotte per modo di conclusione dal diritto naturale e sono invariabili e comuni a tutti gli uomini. Secondo il diritto civile le norme vengono dedotte per modo di specificazione sulla base dei bisogni particolari di ogni stato, purché adeguate al proprio fine e determinate dal diritto naturale attraverso il diritto delle genti. In quanto tale, il diritto civile è il solo ad essere variabile[159].
Poiché «il diritto eguaglia l’uomo a l’uomo in quanto scambievolmente l’uno è in funzione e fine dell’altro»[160], tutti gli uomini sono indistintamente uguali rispetto ai diritti divini, naturali e civili commutativi. Una differenziazione si pone invece rispetto ai diritti distributivi, secondo i quali è bene e giusto dare in una misura ineguale ma proporzionale al ruolo ineguale ma naturale svolto all’interno dello stato, ovvero come avviene rispetto alle funzioni delle diverse membra nella strutturazione del corpo, nel quale comando e sottomissione sono finalizzate alla conservazione del tutto e delle parti.
Dopo aver delineato, partendo dal suo fondamento metafisico, le varie forme del diritto, Campanella si sofferma sul dominio. La prima definizione che ne fornisce prescinde da ogni considerazione sulla sua legittimità e lo descrive genericamente come «estensione del potestativo sopra le cose a sé sottomesse o per diritto o contro il diritto»[161], poiché il potere, ontologicamente inteso, domina solo formalmente ma nella realtà terrena domina chi sa farlo e chi lo vuole. L’estensione del potere è invece giusta secondo la volontà divina quando si conforma al fine divino, secondo natura quando si conforma al fine naturale, secondo la volontà dei cittadini quando si conforma al fine civile.
In base al diritto, che determinando i fini legittimi di un dominio lo riconduce alla propria dimensione originaria, un uomo domina su un altro uomo solo se inferiore e sempre secondo una ragione. Dominio assoluto è quindi soltanto quello di Dio, a cui appartengono tutte le cose create, di cui è causa e fine, e la cui volontà è infallibile in quanto conforme alla pura ragione. Il dominio umano è invece sempre partecipazione di quello divino e limitato a qualcosa, perché l’uomo, che non è certo infallibile, non può servirsi liberamente né delle cose né degli uomini, di cui non è né causa prima né fine ultimo, ma soltanto per quella ragione «per la quale dal Signore, causa e fine ultimo, sono a lui sottomesse e diventano sue»[162]. Da un punto di vista giuridico, nessun uomo è quindi, come Dio, signore assoluto, né nei confronti del cielo, della terra e degli elementi, né degli altri uomini, né degli animali e dei vegetali, su cui domina secondo il diritto naturale, ma soprattutto nessun uomo è signore assoluto di se stesso e delle proprie membra, di cui può disporre entro i limiti e per i fini disposti da Dio, attraverso la legge naturale o scritta. Da qui la frase che apre gli Aforismi politici: «Nissuno domina a sé solo et a pena uno solo ad un altro signoreggia»[163].
L’uomo che esercita una giusta forma di dominio è soltanto un «usuario» di un potere dato da Dio, di diritto o di fatto, ma sempre secondo una ragione, caduta la quale il dominio perde la sua legittimità giuridica ed etica. L’uomo che invece esercito una forma di dominio contro il fine stabilito dovrà renderne conto a Dio, che saprà comunque armonizzare fini e mezzi predisposti per il loro conseguimento, perchè coloro che non si uniformeranno alla propria natura saranno «condotti al fine dal fato e dagli stimoli delle passioni»[164], secondo la volontà divina.
Alla giustificazione giuridica ed etica del dominio si lega la definizione campanelliana di regno, che costituirà un solido presupposto per la piena comprensione della sua concezione del potere politico e della natura dei suoi legittimi possessori. Se regnare vuol dire dominare entro i limiti concessi da Dio, ovvero secondo il diritto, un regno è «compartecipazione di diritto e di dominio», e deve quindi coniugare ragione e potere, poiché la sapienza è senza dominio e il potere tirannico è senza diritto. In quanto tale, un regno «può essere tra eguali ed ineguali insieme»[165] e, posto il fondamento metafisico del diritto, nessun dominio può esistere senza l’amore e la carità divina, ovvero senza il beneficio da cui il diritto discende. L’uomo che, ponendosi come guida sapiente di un dominio giusto, sarà in grado di comprendere la natura ed il fine del proprio dominio, così come i mezzi predisposti per il suo conseguimento, si distinguerà tra gli uomini «come il capo tra le membra, che sono l’uno dell’altro scambievolmente, la causa e il fine»[166]. Il suo potere sarà fondato sulla potenza e sulla sapienza, che contraddistinguono dominio e diritto, e sull’amore, da cui deriva il beneficio che le legittimata, ed in cui, come nella teoria delle primalità da cui siamo partiti, potenza e sapienza giungono a perfezione.
Tre sono pertanto i fondamenti del potere politico, e un dominio umano sarà ben governato soltanto quando non prescinderà da nessuno di essi:

Prima usurpò il potere nella dimensione umana la Potenza; o perché costrinse gli altri ad essere suoi servi, oppure perché, desiderando gli uomini essere difesi dai pericoli, si rifugiarono presso il più forte. Poi, ottenne [il potere] la Sapienza, per il fatto che i più forti, stupidi, o opprimevano in modo violento i sudditi, o corrotti mandavano in rovina il regno. E ai sapienti, per poter governare, al posto della forza di cui erano privi, furono dati soldati e littori. In terzo luogo ottenne [il potere] L’Amore santo verso Dio e il prossimo, avendo i sapienti cominciato a tiranneggiare con sofismi e ipocrisia, e perciò a diventare preda degli stranieri. Infine, agli amanti virtuosi, in sostituzione della forza, furono dati soldati, al posto della sapienza, la legge [167].



Note
[152] L.Firpo, Aforismi politici, ed.cit., Introduzione, p. 45.
[153] La distinzione delle attività secondo l’essenza delle primalità ha quindi una valenza prettamente formale, infatti «quando sono ordinate per le cose esterne hanno, in realtà, facoltà indivise» (cfr. Politica (De), ed.cit., II, 1, p. 49).
[154] Politica (De), ed.cit., II, 3, p. 49.
[155] Ivi, II, 8, p. 53.
[156] Ivi, II, 4, p. 49.
[157] Ivi, II, 5, p. 51.
[158] Ivi, II, 6, p. 53.
[159] Campanella fornisce alcune dimostrazioni della relazione tra il diritto naturale e le due forme di diritto artificiale. Ad esempio, dal principio del diritto naturale che stabilisce che «ogni bene è da ricercare» è derivata la conclusione che la riproduzione è utile per la conservazione della specie, quindi secondo il diritto delle genti le «unioni sono da intraprendere», norma universale ed invariabile. Secondo le rispettive esigenze dei singoli paesi si è poi determinato le modalità delle unioni, che si costituiscono quindi come norme variabili ma capaci di attenersi al principio che pone la ricerca di ogni bene come diritto naturale.
[160] Politica (De)ed.cit., II, 7, p. 53.
[161] Ivi, II, 10, p. 53.
[162] Ivi, II, 13, p. 55.
[163] Aforismi politici, ed.cit., n. 1, p. 89.
[164] Politica (De)ed.cit., II, 16, p. 57.
[165] Ivi, II, 17, p. 57.
[166] Ivi, II, 16, p. 57.
[167] Ivi, III, 14, p. 59 (i corsivi sono miei).





Tesi di laurea di Michele Nucciotti
Relatore Prof.ssa Germana Ernst
Correlatore Prof. Giacomo Marramao


ANNO ACCADEMICO 2005/2006


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