DOMINIO NATURALE E DOMINIO VIOLENTO




LA NATURA DEL DOMINIO


1.  La politica come scienza  

Perché si eserciti una forma di dominio è presupposta, sia in quanto dimensione originaria dell’uomo, sia secondo i fondamenti del potere, l’esistenza di una comunità, ovvero l’«unità di molti insieme»[168]. Benché le comunità politiche abbiano come fine l’uomo, l’unione che le caratterizza si compie naturalmente nella Prima Unità, cioè in Dio, che né è principio e fine. 
E’ interessante vedere come, nel De politica, venga definita come «unità di molti insieme» non soltanto la ‘comunità’ ma anche la ‘politica’, dandoci un primo indizio sull’estensione semantica del termine nell’accezione campanelliana, che qui sembra avvicinarsi al concetto classico di politeia, con cui i greci indicavano al tempo stesso il regime politico, il corpo civico e il diritto di cittadinanza, o meglio ancora la loro interconnessione.
In Campanella, la politica è moralmente rivolta, fino a coincidervi, alla comunità, che per chi vi esercita un dominio non è né un corpo esterno né una proprietà. Il sovrano ne è infatti strumento e parte integrante, ovvero «lo stato non esiste per il re ma il re per lo stato»[169]
Nell’insieme che definisce la comunità ogni componente ha «la propria vece», una sua funzione naturale, che contribuisce, secondo modi e proporzioni diverse, alla conservazione complessiva del corpo politico. Come abbiamo visto, l’uomo che ha potere, a partire dalla forma più elementare di dominio, vale a dire quella del maschio sulla femmina, è soltanto usuario, domina limitatamente a qualcosa, in cui è per natura superiore al dominato, e per partecipazione temporanea del dominio assoluto di Dio, quindi domina «a stento uno solo su un altro»[170].
Questi sono però gli aspetti di un dominio giusto, consapevole dei propri confini e della propria funzione strumentale all’interno di una comunità politica. Da qui la distinzione tra il dominio naturale, che caratterizza una comunità naturale e nel quale, secondo la metafora organicistica, l’anima governa il corpo e le membra, e il dominio violento, tipico dei tiranni, che caratterizza una comunità violenta e nel quale alla ragione si sostituisce il caso. 
Sulla base della comune discendenza dalla perfetta ragione divina, o più semplicemente della rispettiva naturalità, la corrispondenza tra comunità politica e corpo umano, costante nella dottrina politica campanelliana, riflette una interpretazione della stato come organismo vivente, che attribuisce alla politica il compito primario di guidare e garantire il più efficiente collegamento tra le parti sociali, come nella struttura del corpo la testa guida le membra. Nel VI capitolo del De politica, a riguardo di quello che potremmo definire il suo ‘organicismo politico’, Campanella fornisce un’esemplificazione dettagliata del parallelismo tra corpo umano e comunità naturale, che ci permette di cogliere i rapporti di forza che definiscono la natura del dominio:

Lo stato ha per anima la sapienza e la religione; per corpo il senato ed il consiglio e tutti coloro che ricoprono un ufficio utile alla collettività; per beni esterni, i soldati, mercenari e ausiliari, i mercanti stranieri, e gli artigiani che vengono dal di fuori per la comunanza di mestiere; per spirito, la legge; per occhi, i sapienti investigatori delle scienze; per orecchie, spie e mercanti; per lingua predicatori, dottori e ambasciatori; per mani, le proprie milizie;per piedi, agricoltori e artigiani. Vi sono anche gli addetti alla pulizia per ano; e per sostenere i beni del corpo e dell’animo (cioè, le virtù e le scienze, e la sanità, la robustezza e la bellezza), le fortune cioè i servi, i frutti della terra, i poderi, il danaro[171].

Poste queste corrispondenze, in un dominio naturale, come l’anima guida politicamente lo spirito ed il corpo, il quale a sua volta ha potere sui beni di fortuna «secondo la regola dell’anima»[172], la religione comanda sulle leggi e sul senato. Secondo questo stesso ordine, ovvero secondo la rispettiva rilevanza politica, sulle restanti componenti comunitarie al dominio della religione si aggiunge quello delle leggi e del senato. Se la partecipazione al governo è limitata al senato, o comunque ai sapienti, è importante sottolineare l’estensione del diritto di cittadinanza a tutti i membri di una comunità naturale. Per fare parte del corpo civico è infatti necessario ricoprire «un ufficio utile alla collettività», e ciò accomuna tanto un capo di stato quanto un artigiano. 
Come vedremo dettagliatamente affrontando le Questiones politiche, l’ampliamento della cittadinanza, che in contrapposizione con Aristotele contraddistingue la visione campanelliana, si lega anche ad una diversa concezione della virtù. Mentre il filosofo greco non concede il diritto di cittadinanza a coloro che attendono ai mestieri perché ritiene la loro vita inconciliabile con la virtù e con l’assunzione di un ruolo politico, in quanto entrambe necessitano di ozio per svilupparsi, per lo Stilese ogni componente sociale, se necessaria alla comunità, ha la sua peculiare virtù che gli permette di svolgere il suo ruolo particolare in relazione al tutto.
In uno stato così concepito la religione non è certo uno strumento dell’arte politica, indispensabile a chi ha il potere per esercitare un forma di controllo su chi il potere non ha, ma è, per l’appunto, l’anima di una comunità politica, della politica stessa, che in un dominio naturale garantisce la «difesa della giustizia naturale davanti a Dio e agli uomini»[173], e guida tutte le componenti della collettività ad ogni livello della gerarchia sociale. Con essa la sapienza, infusa nelle leggi, capace di cogliere il fine a cui sono state ordinate le cose ed i mezzi per realizzarle, di riflettere lo ‘spirito’ dei disegni della perfetta ragione divina, «per la cui partecipazione siamo denominati razionali»[174].
Si avrà quindi un buon governo del corpo sociale se la politica sarà subordinata alla conoscenza del ‘progetto’ di Dio, del suo Amore, della perfetta razionalità incarnata dalla natura, di cui partecipano le comunità politiche. 
Conservare la propria naturalità, attuarne i fini, porli in essere e mantenerli: questo è il fine dello Stato, che deve animarne la vita, ordinarla come preordinata. Questo può accadere soltanto in una società che fondi la propria unione sul «bene reciproco naturale», a partire dalla prima comunità, quella del maschio e della femmina, per arrivare all’unione «di tutti gli uomini sotto la specie umana ed il papato»[175], ovvero all’universale ierocrazia papale. 
Dominio e comunità sono dunque conformi a natura là dove il bene è comune a tutti, ovvero dove ognuno svolge il ruolo per il quale è nato. Violenti e tirannici sono invece quei domini dove ciò non avviene, e al bene pubblico è anteposto quello privato, così come al bene della Prima Unità quello dello stato, ovvero alla religione la politica. 
Secondo una tripartizione che costituirà uno degli strumenti primari per l’analisi campanelliana della realtà storica contemporanea, l’unione su cui si fonda una comunità può riguardare, in ordine d’importanza, il bene degli animi, dei corpi e delle fortune, che consiste, rispettivamente, nella conservazione dell’unità religiosa, delle risorse umane sotto lo stesso territorio, e, infine, dei beni di fortuna e delle componenti sociali che ne garantiscono la presenza. 
Il primario vincolo unitivo è quindi, anche da un punto di vista politico, quello fondato sul bene degli animi, o «comunità di religione», per il suo potere di riunire saldamente anche nazioni e popoli distanti e diversi culturalmente, come fa il Papa, che «esercita la sua autorità sui Cristiani d’Asia, d’Africa, d’Europa e d’America»[176].
Questa stessa gerarchia deve guidare la vita di ogni uomo, che prima «deve desiderare e procurare il bene dell’animo, in secondo luogo quello del corpo, in terzo luogo quello delle fortune»[177], ed il suo relazionarsi all’altro. Ogni cittadino, ad esempio, deve infatti dare priorità al bene del proprio animo rispetto a quello del concittadino, che deve invece essere stimato più del bene proprio corpo e dei propri beni materiali, secondo un rapporto che a parità di oggetto del bene privilegia il proprio, a disparità quello di chi possiede il più importante, secondo la suddetta gerarchia. Quindi in un dominio naturale, contrariamente a quanto avviene in un dominio violento, queste norme guidano le azioni dei suoi membri e, se il bene è nella conservazione dell’unità originaria, le comunità degli animi, dei corpi e dei beni di fortuna vengono a coincidere sotto lo stesso territorio.
Politicamente e in una prospettiva universale, la naturale propensione degli enti al bene si traduce quindi nella conservazione di quell’«unico corpo» congiunto «secondo necessità», attraverso il rispetto dei ruoli innati e dei doveri reciproci. Il fine terreno della stato, è, in una parola, la pace, garante e conseguenza naturale dell’unità originaria, frutto dell’identificazione tra dominio naturale e comunità naturale, e tra la comunità degli animi, dei beni e delle fortune, che permette all’uomo di servire il Signore, di coltivare «il culto di Dio attraverso scienze e virtù»[178], contro ogni elemento destabilizzante. I mali dei domini violenti nascono proprio dall’incapacità di cogliere il superiore progetto divino, poiché tanto i principi che i governi popolari servono se stessi e non Dio, si credono il fine dello stato e non ne colgono la ragione ultima, la sola che li potrebbe «rendere beati».



Note
[168] Aforismi politici, ed.cit., n. 1, p. 89. Per l’identificazione di ‘comunità’, ‘politica’ e ‘stato’, nel passo corrispondente del De politica, cfr. Politica (De), ed.cit., I, 2, p. 43.
[169] Politica (De), ed.cit., I, 11, p. 45.
[170] Ivi, I, 2, p. 43.
[171] Ivi, VI, 7, p. 95.
[172] Ivi, VI, 8, p. 95.
[173] Ivi, I, 6, p. 45.
[174] Ivi, II, 4, p. 51.
[175] Ivi, VI, 7, p. 95.
[176] Ivi, I, 4, p. 43. Campanella fornisce qui una dettagliata analisi delle varie forme di società che dall’associazione privata giungono a quella pubblica attraverso livelli di estensione progressivi, rappresentati da società minori.
[177] Ivi, I, 7, p. 45.
[178] Ivi, I, 45, p. 45.





Tesi di laurea di Michele Nucciotti
Relatore Prof.ssa Germana Ernst
Correlatore Prof. Giacomo Marramao


ANNO ACCADEMICO 2005/2006


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